La riforma del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario è stata approvata in maniera definitiva il 23 giugno. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 4 luglio, diventerà effettiva dopo trenta giorni, tranne le parti soggette a legge delega al governo.
Il provvedimento introduce importanti modifiche dell’ordinamento penale, sia sul piano del diritto sostanziale sia su quello del diritto processuale.
La riforma inasprisce le pene per furto, rapina, scippo e cambio elettorale politico-mafioso.
É significativo che vengano sanzionati ancora più duramente i reati contro la proprietà privata commessi dai poveri, che nel nostro paese già prevedevano pene molto pesanti.
Chiara la volontà di accontentare le pulsioni giustizialiste che attraversano parte del corpo sociale.
Vengono significativamente aumentati i termini di prescrizione, aumentando i casi di sospensiva già previsti dalla legge. Tra il processo di primo grado e quello di secondo grado è prevista una interruzione di un anno e mezzo. Sempre di un anno e mezzo è l’arresto del calcolo della prescrizione tra il processo d’appello e quello in Cassazione. Nei fatti la prescrizione è stata aumentata di tre anni. Alla faccia della asserita volontà di adeguamento alle richieste dell’Unione Europea, che sollecitava una maggiore celerità nell’azione penale, vengono nei fatti allungati i tempi a disposizione dell’apparato giudiziario per portare a termine i processi.
Un vero paradosso, che si nutre di pregiudizi radicati diffusi ad arte dai media, che amplificano alcuni casi di reati gravi estinti dalla prescrizione, nascondendo le obiettive responsabilità, anche politiche, della magistratura.
Il caso più recente ed eclatante è quello della Procura di Torino, che ha accelerato al massimo i procedimenti a carico del movimento No Tav, anche quelli più banali. Condanne e sanzioni pecuniarie sono state la leva potente usata contro un movimento vivo e pericoloso per l’ordine costituito, ben al di là della consistenza penale dei tanti procedimenti attuati contro gli attivisti.
La possibilità di difesa sono drasticamente ridotte dall’introduzione del dibattimento a distanza, tramite videoconferenza. Sinora era un provvedimento eccezionale, ora diviene la norma per chi è accusato di alcuni reati come mafia, associazione sovversiva, attentato con finalità di terrorismo.
I penalisti si sono opposti alla riforma sino all’ultimo, facendo numerosissimi “scioperi”, l’ultimo nella settimana precedente all’approvazione definitiva della nuova legge.
Una legge che conferma sia la natura di classe dell’ordinamento giudiziario, sia il suo utilizzo contro i movimenti di opposizione sociale.
Persino norme apparentemente più “liberali” come quella che introduce l’estinzione di alcuni reati per i quali è prevista la querela di parte e un massimo di pena di 4 anni, se le vittime vengono risarcite, hanno una chiara impronta di classe. Chi non ha soldi per i risarcimenti andrà in carcere.
Ascolta la diretta dell’info di radio Blackout con Eugenio Losco, avvocato milanese, in prima fila nella difesa degli attivisti dei movimenti di opposizione sociale e dei migranti.
tratto da anarres